Questo articolo non vuole essere scuola, ma semplicemente una riflessione aperta è stato ispirato da una lezione: “io voglio capire cosa sto suonando!” È stata l’esclamazione di uno studente. E siamo entrati nell’argomento teoria musicale vs. studiare gli altri armonicisti o, più apertamente, studiare i riff degli altri musicisti.

Spesso le due parole teoria musicale spaventano noi armonicisti che, volentieri (e ci siamo passati tutti, almeno nel Blues), preferiamo studiare le frasi di qualche nostro eroe e riproporle fedelmente o cambiate di contesto perché ormai le padroneggiamo.

Non c’è nulla di male in questo, ma in qualche modo ci limita. Non solo nel contesto musicale in generale (quindi a prescindere dal genere), ma anche nel Blues.

Questo, riflettendoci, potrebbe essere perché semplificando molto il tutto, possiamo dire che la musica che suoniamo è su qualsiasi genere caratterizzata da teoria e linguaggio.

La teoria è rappresentata da quali note usiamo per l’effetto che danno e come capirlo in relazione agli altri strumenti, alla tonalità, agli accordi, mentre il linguaggio rappresenta come usiamo quelle note,  i modi e scale sui quali sono costruiti i riff e quali ritmi vengono usati. Insomma la teoria mette in relazione i suoni, il linguaggio come vengono pronunciati. Grammatica e parlato.

STUDIARE I FRASEGGI.

Nella pratica studiare i fraseggi dei nostri musicisti preferiti reimpararli a memoria è un fantastico modo di imparare il linguaggio che funziona perfettamente nel genere sul quale suonate, magari, ma potrebbe mettervi in difficoltà nel caso vi muoviate al di fuori del terreno musicale del vostro eroe.

Chiaramente questa non è una regola aurea! Fattori personali come musicalità, orecchio e talento aiutano certamente a sopperire a mancanze teoriche.

Ma perché limitarci ad affidarci a qualcosa di così “incerto” come questi tre fattori? E soprattutto non capire è per lasciare uscire la nostra personalità musicale (e non c’è nulla di male in questo, a patto di non usarla come scusa!) è come mai, questi fantastici armonicisti, usavano quelle note

E no, non è un fattore di viscere ed istinto. Non solo, almeno. C’era metodo di lavoro musicale, dietro alle grandi registrazioni dell’armonica!

LA TEORIA DIETRO I FRASEGGI.

Non è così assurdo ed è un pochino arrogante affermare che quei musicisti non sapessero cosa stavano facendo: non si crea grande musica a caso. Può succedere, ma non è così comune.

In ogni caso, loro stavano creando un genere, noi no. Direi che capire meglio cosa questi musicisti facevano, anche se magari non ce lo avrebbero spiegato con termini tipici del conservatorio (vista anche l’origine primaria del Blues stesso), da un punto di vista teorico-musicale dimostra rispetto e una certa furbizia: se capiamo la logica che sta dietro alla genialità, riusciamo:

  1. ad apprezzare meglio l’artista
  2. a comprendere meglio le note che vengono usate
  3. collocare quelle note che compongono quei fraseggi su una scala musicale
  4. poterci muovere agilmente sulla musica, sull’armonica, sulla scelta delle note e delle posizioni
  5. spostandosi quindi su una determinata scala poter improvvisare su qualsiasi genere

Se alla comprensione di quanto sopra uniamo la comprensione della grammatica del genere che vogliamo affrontare (tensione & rilascio, nel Blues, dovrebbe essere un’indizio. Se non fosse così contattami per delle lezioni sulla teoria musicale che serve per l’improvvisazione Blues), allora saremo in grado di suonare davvero e non fermarci a degli efficaci, ma forse prevedibili (quanto apprezzabili, capiamoci!) esercizi di stile.

Il grande Miles Davis, una volta, disse: “A volte ci vuole tutta una vita per suonare come se stessi!” Iniziamo il viaggio.

N.B: onde evitare fraintendimenti, troppo frequenti e facili in quest’era dove teoricamente la comunicazione dovrebbe essere facile (ma viene spesso equivocata): non ce l’ho con gli armonicisti che decidono di approcciarsi allo strumento come al Blues con il “si suona di istinto”. Spesso invidio sinceramente e in modo positivo e ammirato  la loro conoscenza del lessico (parlo del mondo del Blues, nel quale all’incirca mi muovo e ho orecchio).

Quello che però ritengo limitante e a volte totalizzante è il dovere suonare così, altrimenti non è, chissà per quale motivo, giusto o “abbastanza Blues”. Forse, lo dico per voler innestare un dubbio, un modo di pensare diverso verso lo strumento è un punto di scambio di idee. Forse è limitativo non sapere, davvero, cosa stiamo facendo almeno da un punto di vista musicale riflessivo (quindi non in tempo reale, anche se sarebbe l’ideale).

Ero e sono ancora è un trascrittore di parti, ma nel tempo le sto guardando in modo diverso. Prima cercavo i fraseggi identici per ripeterli perché suonavano “fighi” e “giusti” e memorizzavo gli spostamenti e i fori (soffia qui, glissa di lì e arriva al due aspirato sul tre si piega un pochino, che suona giusto). Ora guardo le note suonate, pensandole in gradi e capendo che scala (o che parte di scala) viene usata e quante variazioni e fraseggi ne possiamo trarre da quelle stesse note: il tema di “My Babe” di Little Walter usa le stesse note del groove di “Help Me” di Sonny Boy Williamson II. FA LAb SIb, quindi I IIIb IV grado dell’accordo, due groove diversi!). Da lì si iniziano a capire diverse cose e a creare è con il tempo è frasi e rielaborazioni di fraseggi del tutto personali.

È ovvio, chiaro, lampante e indiscutibile che ci deve essere il feeling, ma quello è realmente è soggettivo. Pretendere, però, di avere lo stesso feeling di Little Walter, Sonny Boy, Junior Wells, Sonny Terry, Big Walter, James Cotton, John Lee Williamson, Slim Harpo, Paul Butterfield, Jason Ricci, William Clarke, Kim Wilson, Mark Ford, John Popper, Jason Ricci, Toots Thielemans, Stevie Wonder, Howlin’ Wolf, Charlie Musselwhite, è sarebbe, per quanto apprezzabile e ammirevole, qualcosa che è stato meravigliosamente sentito, fatto comunque meglio e in maniera originale. E credo che, alla fine, l’essere onesti e originali ci renda unici e interessanti.

Per essere unici e interessanti dobbiamo imparare ad esprimerci. Come abbiamo fatto con l’italiano o qualsiasi lingua straniera. Abbiamo imparato le parole (lessico di base), le regole grammaticali (l’equivalente della teoria musicale di base), i modi di dire e la cadenza (slang, o lessico del genere: quello che può essere un detto popolare o un dialetto di una regione piuttosto che di un’altra). L’unicità, no:  le nostre esperienze di vita ci rendono ciò che siamo come persone e come modo di comunicare.

Nella musica, allo stesso modo, per esprimerci al meglio e comprendere gli altri al meglio (quindi i nostri eroi dell’armonica), conoscere qualche regola di base (o approfondire fino a soddisfare al massimo la propria curiosità) ci aiuta sicuramente nel nostro percorso di armonicisti. Percorso che ognuno di noi approccia come meglio crede. Potrebbe non sembrare, ma sono per la totale libertà dell’individuo: dalle armoniche immerse nel whiskey (che per quanto dannoso trovo ancora meravigliosamente poetico e, perché no, gustoso) al mojo di certi suoni e rituali e all’istinto viscerale che sta dietro la magia musicale. Rimane tutto suggestivo e in ogni caso fa un parte della cultura Blues che va rispettata, quindi anche saperci dosare non ci fa male, secondo me:  sempre per rispetto di un mondo che in qualche modo saccheggiamo.

Riguardo al tecnicismo che sto scoprendo interessante, quanto pericoloso: è facilissimo cadere nel “senti che figata che so fare” ma che in qualche modo violenta la musica. Dobbiamo sempre essere funzionali alla musica, altrimenti non stiamo davvero suonando, secondo me. Chiaramente invidio altrettanto il modo di suonare di chi l’armonica la spreme fino in fondo, con overblow è scale che, uscendo dal contesto Blues in senso stretto, suonano comunque divine a livello musicale.

La virtù forse sta nel mezzo Tra il misticismo che avvolge la musica Blues, che innegabilmente è stata magnete di personaggi carismatici e pittoreschi che forse ci hanno fatto assaporare quel qualcosa che molti percepiscono, e il sapere come mai, musicalmente, quelle cose funzionavano e come saperle comunicare in maniera personale Voi che dite? Una risposta che mette apposto tutti è forse lo scambio di battute con Flavio Paludetti (chitarrista della mia attuale band). Scherzando gli dicevo: “…ma il Blues non si studia!” E lui pronto risposta: “Il Blues non lo so, ma la musica si, si studia…”.

Vi chiedo di comprendere che tutte queste osservazione sono per amor di strumento e amor di genere, non per polemizzare su nulla. Siamo in più di 7 miliardi, credo che alla fine che nella storia evolutiva del pianeta non abbia questo grande peso, no?

Se avete letto fin qui siete stati molto pazienti. Grazie di cuore. è RG