Nella prima parte di questa serie abbiamo capito il tempo da riservare allo studio e introdotto i concetti di “studiare con la testa” o meno.

Potremmo chiamare questi due modi di studiare: “studio attivo” e “studio passivo”.

Quali sono le differenze tra studiare attivamente e studiare passivamente? Sto studiando male?

Se stai leggendo questo articolo significa che, in qualche modo o da qualche parte, stai studiando o senti di studiare in maniera non corretta.

Studiare attivamente significa essere concentrati al 100% su quello che stiamo facendo, lavorando su parti specifiche che ci portano al miglioramento di un dettaglio, di un passaggio specifico, di una tecnica particolare.

Studiare passivamente significa ripetere ciò che dobbiamo e vogliamo suonare, senza nessuna direzione particolare se non quella del motto “la pratica rende perfetti”. Ovviamente a forza di ripetere miglioreremo, ma il tempo per migliorarci e progredire sarà quattro volte maggiore rispetto allo studiare attivamente.

Lo studio passivo: come ci inganniamo e danneggiamo.

Prima di tutto iniziamo con il chiarire una cosa: “se mentre studi suoni bene, stai studiando malissimo”. Quando si studia non bisogna suonare bene, bisogna lavorare e focalizzarci – per migliorare – dove siamo deboli. Dove, insomma, facciamo schifo.

Prova a chiedere a qualcuno di studiare come se fosse a casa. Prova ad ascoltare cosa fa. Nella maggior parte dei casi sentirai questa persona suonare senza essere attivo mentalmente, impegnandosi in mere ripetizioni (“studia questo passaggio 10 volte” o “studia questo brano per 30 minuti”) o studiando con il pilota automatico. È un difetto che, magari, hai anche tu. Suoni il brano fino al punto in cui non ti piace ciò che fai. Ti fermi, ripeti il passaggio finché diventa decente, riprendi a suonare il brano fino al punto successivo dove il processo ricomincia.

Questo tipo di pratica porta con sé tre grandi problemi.

1. È una perdita di tempo.

Studiando in questo modo non hai molti stimoli produttivi. Provi e studi il pezzo per ore, giorni o settimane e senti di non migliorare molto. O peggio ancora, ti stai scavando una buca: questo modus operandi rinforza gli errori e le abitudini errate che puoi avere sviluppato creando confusione e un peggioramento con il tempo. A questo punto diventa difficilissimo correggere quegli errori che hai memorizzato (nella mia carriera di insegnante ho dovuto correggere una grandiosa quantità di errori, soprattutto di impostazioni di base come respirazione o imboccatura, oppure la postura, totalmente errate!). Come dicevamo nella prima parte: “la pratica non rende qualcosa perfetto, rende qualcosa permanente!”

2. Ti rende meno fiducioso.

Come se non fosse abbastanza ciò che è scritto nel punto 1, questo modo di studiare ti rende meno fiducioso e sicuro: c’è una parte di te che si rende conto di non sapere come produrre, davvero, il risultato che cerchi. Anche se il numero di esecuzioni corrette di quel passaggio è piuttosto alto (magari 3 volte o 4 volte, su 5, correttamente), la tua sicurezza non crescerà molto studiando così. La sicurezza sullo strumento e sul palco nasce quando sarai (a) in grado di suonare quel passaggio correttamente 10 volte su 10 tentativi, (b) saprai che non è una coincidenza e che puoi suonarlo correttamente ogni volta che ti viene richiesto perché, cosa più importante, (c) sai esattamente perché ti viene giusto o sbagliato: da un punto di vista tecnico sai cosa devi fare per realizzare quel suono/brano/passaggio.

Qui entra in gioco un punto importante.

Quando studi, tendi a farlo inconsciamente. Quando suoni dal vivo, lo fai consciamente. Non è un gran ricetta per il successo. Appena sali sul palco, entri in uno stato mentale che coinvolge l’emisfero sinistro del cervello. Se hai studiato tutto in maniera passiva e il tuo cervello entra in modalità super-attenta e iper-conscia ecco che iniziano i guai. Ti rendi conto che non sai quali istruzioni dare davvero al tuo cervello. Non è il massimo della situazione per suonare bene, no?

3. È noiosissimo e tedioso.

Studiare in modo passivo è pesante. La musica è forse l’unica attività dove i risultati sono basati sul tempo. Forse hai trovato un insegnante che ti ha detto di studiare un certo passaggio un certo numero di volte. Ma ti serve qualcosa di più specifico, come “suona questo passaggio finché suona come…” o “prova a capire come far suonare questo passaggio finché suona come…”

Lo studio attivo: la via per il successo.

Quindi cos’è lo studio attivo?

È studiare in modo sistematico e strutturato. In pratica applicando un metodo che possiamo definire scientifico. Invece di avere una serie di prove e correzioni degli errori, diventi attivo e riflessivo e nella sperimentazione hai degli obiettivi chiari.

Spesso lo studio attivo è lento e coinvolge le ripetizioni di una piccola sezione del tuo repertorio, invece di “suonarlo” e basta. Suonare la prima nota del tuo fraseggio fino a quando non canta esattamente come vuoi, invece di suonare tutta la frase è un ottimo esempio di questo approccio.

Lo studio attivo implica il controllo della performance, in tempo reale o grazie a delle registrazioni, cercando sempre un modo di migliorare. Questo significa ascoltare quello che succede, in modo da poter individuare ciò che c’è di sbagliato. Ad esempio: “il bending era intonato?” “la nota suonata con troppo volume?” “la durata è corretta?”. “Cosa devo/posso fare per arrivare al risultato che cerco?”.

Pochi musicisti si prendono il tempo per analizzare cosa è andato male, perché è successo e come possono correggere quell’errore in modo permanente.

Ora sai come puoi cambiare il tuo modo di avvicinarti allo studio e di studiare con l’armonica, sia esso un brano, un fraseggio o un esercizio che ti ho dato (o che qualcuno ti ha dato).

Nella prossima parte vedremo come impostare una vera e propria routine di studio e come applicarla all’armonica.